Giu 14, 2024

CERCANO CULTURA NON SOLO SPIRITUALITÀ- Avvenire, 1 giugno, Riccardo Mensuali

La ricerca che la Fondazione Età Grande ha commissionato a Ipsos per cominciare ad approfondire il legame tra le diocesi italiane e la pastorale per gli anziani coglie una novità, sotto gli occhi di tutti: Francesco è il primo Papa che ha dedicato ben 18 catechesi al tema del tempo della vecchiaia e al ruolo degli anziani nella società e nella Chiesa. Un magistero, arricchito da tanti altri gesti e parole, che risalta per profondità e originalità mentre mostra la capacità di Francesco di cogliere un evidente segno dei tempi. Una ricca riflessione che non può andare sprecata.
La Fondazione Età Grande nasce per questo: sostenere e aiutare la Chiesa a elaborare ed offrire una cultura sulla vecchiaia, un pensiero profondo ed efficace su cosa significhi diventare anziano nella società insidiata dalla cultura dello scarto. Se già è impresa ardua per un giovane immaginare il futuro, tra paure e incertezze, figuriamoci per una persona che inizia quello che oggi può rappresentare un lungo arco di tempo, dopo la pensione. La parola futuro mette tale ansia che qualcuno, come ad esorcizzarlo, l’ha rinominato il dopo del presente, come riporta Stefania Andreoli nel suo “Perfetti o infelici”. I dati elaborati da Ipsos ci offrono il quadro di un mondo molto differenziato al suo interno e l’urgenza di dare a questo tempo lungo un senso e un valore che, una volta in pensione, sembriamo come smarrire. La ricerca “Pastorale della Terza Età: opinioni e vissuti delle diocesi” apre un primo, significativo seppur parziale squarcio sulla relazione tra la Chiesa in Italia e la pastorale degli anziani. Non è senza significato che sulle 134 diocesi che risultano avere una pastorale dedicata al tema, ben 78 la inseriscano all’interno della pastorale della salute. Vecchiaia come malattia. Solo 6 hanno preso la decisione di darle il nome che le spetta: pastorale degli anziani. In effetti, alla domanda su come definire l’anzianità, le risposte più comuni sono state: l’età in cui non si hanno più energie per vivere a pieno la propria vita e l’età in cui viene meno l’autonomia e subentra l’esigenza di assistenza continua.
Si avverte così, da una parte, l’esigenza di maggior coraggio e visione nell’interpretare il sempre più lungo ultimo tratto di vita non solo come una sorta di infermità ma come una stagione della vita in cui portare frutti e a cui la Chiesa dedichi apposite attenzioni come fa con le ben più diffuse e implementate pastorali giovanili. Dall’altra, la prospettiva cristiana non può certo eludere la domanda di sostegno, di compagnia, di assistenza e di offerta di senso al tempo della fragilità. Francesco ha parlato, a questo proposito, di un magistero della fragilità, profetico in una società che invece vuole nascondere o eliminare la debolezza. Che vuole correre ma non sostare, rallentare. In una catechesi ha detto: «Siamo tutti tentati di nascondere la nostra vulnerabilità, di nascondere la nostra malattia, la nostra età, la nostra vecchiaia, perché temiamo che siano l’anticamera della nostra perdita di dignità»